Alcuni approfondimenti

Per Internet of Things (IoT), si intendono tutti quegli strumenti e applicazioni che permettono non solo e non tanto alle persone di parlare con le macchine, quanto agli oggetti di dialogare direttamente tra loro. Con un impatto imponente nella vita di tutti i giorni, in particolare se consideriamo il numero di cose che saranno presto comunicanti.

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Già oggi gli oggetti comunicanti sono più di 7 miliardi e superano la popolazione terrestre ma le stime parlano di 50 miliardi di dispositivi connessi nel 2020, con una media quindi superiore ai 6 per persona.

Dai frigoriferi agli impianti di irrigazione, dai meccanismi di sorveglianza a quelli biomedicali, dal monitoraggio industriale a quello energetico, non c’è un campo che sia escluso dalla diffusione dell’IoT.

Le automobili ad esempio potranno relazionarsi autonomamente tra loro per evitare incidenti e collisioni. O parlare con semafori e centraline del traffico per dribblare le code e impedire che si formino ingorghi.

La domotica si ripromette di fare altrettanto, con il ferro da stiro e l’aspirapolvere che si mettono d’accordo col contatore per vedere chi può accendersi per primo o con il forno e la lavastoviglie che programmano temperature e orari di spegnimento per dare un taglio alla bolletta.

E anche i distributori di energia si dotano di dispositivi per analizzare i big data e trasformarli in azioni. Enel ad esempio ha pensato alla soluzione smart Info+: una presa intelligente che interagisce con computer e smartphone e consente agli utenti finali di conoscere meglio le proprie abitudini di consumo e regolarsi di conseguenza.

Per offrire funzioni simili elettrodomestici e compagnia devono essere dotati di una serie di sensori. Sempre più piccoli eppure sempre più potenti, perché le dimensioni contano almeno quanto le capacità di calcolo. Ci sono microcontrollori a 32-bit a basso consumo davvero microscopici, che forse non saranno essenziali per la casa o la macchina ma che se applicati al mercato dei wearables possono decisamente fare la differenza. Il più piccolo in circolazione, il Kinetis K03, arriva a 1.6x2mm e sta comodamente all’interno della fossetta di una palla da golf.

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La sfida tuttavia non si limita a questioni di taglia. Gli oggetti interconnessi crescono a vista d’occhio, ma per vincere la partita dell’IoT urge risolvere tre problemi fondamentali.

Il primo è l’alfabetizzazione informatica, e pare essere il meno complesso da risolvere. Il ricambio demografico porta a generazioni sempre più vicine all’elettronica mentre interfacce intuitive e piattaforme touch hanno contribuito a sdoganare molte applicazioni prima ritenute proibite. Anche dal lato sviluppatori si moltiplicano iniziative e hackathon dedicati.

Per quanto concerne il secondo, ovvero i protocolli di comunicazione, il discorso invece si complica. Ci sono una miriade di frequenze, formati e standard diversi per veicolare i dati. Wi-Fi, 3G, LTE, Rfid, Nfc, Bluetooth e ZigBee sono solo alcuni tra i principali acronimi in gioco. Tutti validi per diverse ragioni ma il cui moltiplicarsi non aiuta a uscire dall’effetto torre di Babele, in cui strumenti diversi rischiano di non capirsi più perché parlano lingue troppo diverse.

L’ultimo nodo da sciogliere infine è la capacità di banda. Per una diffusione dell’IoT efficace e capillare servono reti e infrastrutture adeguate. In termini non solo di larghezza ma anche di sicurezza della banda, vista la mole e la confidenzialità sempre maggiore delle informazioni che viaggeranno su di essa. Nazioni come Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud godono di impianti avanzatissimi in confronto a quelli europei. Stati come l’Italia rischiano invece di rimanere fatalmente indietro su un terreno sul quale si gioca una grossa fetta del loro rilancio economico. Le ricadute dell’IoT a livello di business non saranno inferiori a quelle che promettono di avere nella vita di tutti i giorni. Attrezzarsi di conseguenza non è bene, è una questione di sopravvivenza.